Se la seguente esperienza fosse una canzone tra le più famose in Italia, inizierebbe con “Questa è la storia di uno di noi...” ma Gloss non è nata in via Gluck, pur essendo milanese. Ormai ultracinquantenne, declassata a lavapiatti per necessità, (ammesso che chi lavi i piatti svolga attività declassata, ma non è vero: ogni lavoro ha la sua onorabilità), aveva un nobilissimo - e ben remunerato - passato lavorativo da Art Director Pubblicitaria negli anni della “Milano da Bere”, spendibile in veste di docente presso una istituzione scolastica privata, con diverse sedi disseminate sul territorio di una delle città più grandi d'Italia e immediata prima cintura, dedita alla formazione di adolescenti, prevalentemente fannulloni e indisciplinati. Ma si dice che il lavoro sia lavoro e che non bisogni guardare tanto per il sottile. Gloss aveva superato prove ben più difficili nella sua vita che non una masnada di ragazzacci. È da sempre convinta, come Sensei Ikea (BS, 169, 36) che il tesoro più grande sia “piantare i semi della felicità nella vita delle persone”. Vero è che “può sembrare un processo lungo e tortuoso, ma è di fatto l’opera essenziale per riuscire a trasformare il nostro pianeta”.
Quando Gloss approccia nuovi ambienti, stringe subito nuove relazioni. Da più fonti, ovvero dalla responsabile del reclutamento personale e da quello orario docenti, dal direttore, dalla sindacalista nonché docente di inglese, con somma compassione, le giunse l’informazione che il suo stipendio sarebbe stato corrisposto soltanto un anno dopo, dovendo l’istituzione il proprio funzionamento all’arrivo di fondi dell’Unione Europea, estremamente lenti. Quando si ha fame e si è sul lastrico, si finisce per accettare condizioni inaccettabili. Il Direttore le ventilò l’ipotesi che negli anni a venire avrebbe potuto occuparsi anche nelle altre sedi della città e prima cintura, vedendosi incrementare impegno lavorativo e relativa remunerazione. Gloss fu posta sotto contratto, in cui si affermava che detta retribuzione sarebbe stata da corrispondere entro novanta giorni dall’inizio dell’attività di docenza. Novanta giorni dopo le fu detto di pazientare, ancora per almeno un anno. Gloss annotò mentalmente quell’alieno “almeno”.
Nello scorrere di un anno e mezzo, Gloss chiese a più riprese, di persona, per telefono, via e-mail, l’esecuzione delle obbligazioni proposte e firmate nel contratto dall’istituzione stessa, ricevendo dai responsabili solo risposte evasive, che confidavano sulla sua comprensione, che si trattava di soldi pubblici, di pazientare “almeno due anni”, e via panzanando. L’alieno alienante era riapparso. «Cosa vuol farci, i tempi sono quello che sono», la protagonista finì per accettare un legame con l’istituzione che, poco alla volta, logorò e poi distrusse anche la sua autostima (nonché svariati euro in treno per lavorare gratis, lasciandosi sfuggire vita e dignità).
Eppure, nel corso di quell’anno e mezzo, Gloss sostenne non solo gli allievi, che, in effetti si erano rivelati per quelle paventate persone difficili, ma pure incoraggiò una collega di fronte alla indisciplina di una classe. Dopo il successo di attenzione, la collega le ventilò l’ipotesi di un incontro con le scolaresche Alla Scoperta delle Professioni, per la conclusione dell’anno accademico. Non essendosi svolto, Gloss ne chiese ragione. Venne tranquillizzata, sentendosi dire che sarebbe stato previsto per l’anno successivo, sempre con lei come relatrice. Pur manifestando la sua disponibilità, sia per il proseguimento della docenza che per l’evento, nell’anno accademico seguente non venne però più convocata. Aveva già tuttavia notato che la responsabile del reclutamento personale con cui ebbe il primo abboccamento, tutte le volte che la incontrava in treno, si girava dall’altra parte. Evidentemente non reggeva la vergogna. Emisero a suo nome una parcella, senza corrispondere compenso alcuno.
A distanza di due anni, Gloss seppe di altri colleghi e colleghe nelle stesse sue condizioni. Ufficiosamente erano in otto a non aver ricevuto il dovuto in quella sola stessa sede dove lavorò, un comportamento indegno da parte di una istituzione di matrice cattolica come la loro.
Oltre alla parcella emessa da loro al posto suo, la protagonista aveva conservato gli screenshot dell’hyperplanning dell’istituzione, riguardante le proprie prestazioni. Conservava perfino le lezioni documentate. Pur restando la gratitudine per l’esperienza svolta presso l’istituzione, aumentò l’amarezza per essere stata raggirata, per non essere state mantenute le promesse di lavoro presso le svariate sedi, a conseguenza della cui proposta ebbe ipotizzato persino di cambiare residenza per avvicinarsi.
La minaccia di informare della situazione incresciosa Sindacati, Ispettorato del Lavoro, RAI3, periodici locali e nazionali, Canale5, e Gabibbi vari, divulgando la notizia che abitualmente non pagavano i dipendenti e che, essendo la loro appartenente alle Istituzioni cattoliche, avrebbero suscitato discreto scalpore, produsse l’effetto sperato.
L’istituzione corrispose gli emolumenti all’istante.
Gloss concluse questa storia edificante - edificante solo perché contiene un rafforzamento all’insegnamento contro le ingiustizie, sempre - mandando a memoria e facendo proprie le affermazioni di un filosofo giapponese che morì in carcere pur di sostenere le proprie convinzioni, Tsunesaburo Makiguchi. Circa il lavoro relativamente alla sua Teoria del Valore, che ne racchiude i tre criteri di bellezza, guadagno e bene, Makiguchi incoraggia a trovarne uno che: “sia piacevole (esprima cioè la bellezza), porti beneficio a chi lo svolge (generi quindi guadagno) e che sia utile alla società (contribuendo così al bene).”
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