martedì 16 ottobre 2018

LO SPIRITO DI NON ARRENDERSI

Il tema prescelto dello Zadankai di ottobre 2018 per il confronto delle vite personali con il buddismo, a Gloss si rivelò aderente agli accadimenti della propria estate. Sensei invita a rompere il guscio del piccolo io” (D.Ikeda, NR, 290, 11). Perciò Gloss desiderò con vero cuore condividere la storia di sua figlia, che all'epoca era una ragazza di dodici anni, la quale a cinque mesi di vita si trovò a combattere contro una malattia rarissima che colpisce un neonato su centocinquantamila. Così infrequente da non esserci test prenatali. Impedisce totalmente lo sviluppo psicomotorio nei neonati, che, finchè campano, restano allo stato vegetativo, intubati per alimentarsi e respirare. A volte, muoiono precocemente. Ai buddisti presenti fu offerta la possibilità di entrare in empatia con quei genitori e il loro strazio. Ma 

la neonata improvvisamente guarì, pur restando lesa a tal punto da essere incapace di parlare e camminare fino a 4 / 5 anni.


Ce la fece, più tardi degli altri, ma riuscì a sviluppare una vita abbastanza indipendente e autonoma, rispetto alla disastrosa partenza. Superò il ritardo psicomotorio, con i suoi tempi supererà quello cognitivo. Ma vincerà, sua madre e il suo partner ne furono subito certi. Raccontarono quella vicenda perché va a beneficio di quei genitori separati in combattimento non solo per la guarigione, ma anche per i diritti dei figli e più in generale, per Kosen Rufu.


In quel lontano ottobre 2018, la ragazza era consapevole di non sapere controllarsi e si trovava a dover lottare contro non solo contro se stessa ma anche contro l'ignoranza del padre naturale che riteneva il suo malessere gestibile solo con una severa applicazione di buone regole. E che rifiutava di entrare in contatto in modo collaborativo con la madre e il suo partner. Alcune malattie sono tali in quanto l'organismo non produce in maniera endogena determinate sostanze necessarie al benessere dell'individuo. È il caso dell'epilessia, è anche quello delle turbe psicotiche (chiamate il secolo scorso, schizofrenia). Ebbene, fu epilettica da neonata, ma ne uscì. La ragazza era affettuosa, dimostrava a parole e a gesti il suo amore per la madre e il suo partner. Tuttavia, improvvisamente e senza apparente motivo, sfuggiva loro di mano per strada attraversando senza curarsi di eventuali veicoli in arrivo, e si rivoltava loro contro, picchiandoli a calci pugni morsi, talvolta fino a farli sanguinare; sui marciapiedi si gettava a terra, con i lacrimoni, urlando quanto fossero cattivi con lei, in mezzo a passanti in odor di denuncia per maltrattamenti. Ripresa pazientemente e con dolcezza, ma allo stesso tempo, fermamente, ribadiva dispiaciuta quanto non fosse in grado di controllarsi. Pareva dunque soffrisse di schizofrenia. Purtroppo non fu dato  conoscere la diagnosi dei medici consultati dal padre.


Portata da Gloss presso altro neuropsichiatra infantile, questa volta a pagamento, costui confermò a colpo d'occhio la sospetta diagnosi, affermando con decisione che, per farla stare bene, fosse indispensabile un determinato medicinale. Purtroppo, in assenza di consenso del padre, non poté prescriverlo.


Consultato anche il medico di famiglia, costui suggerì a Gloss e al suo partner di fare un esposto presso le FFOO, a tutela della ragazza. Quando si recarono nella caserma di Polizia, lei stessa approcciò il primo funzionario rivelandogli di essere ingestibile, parole pronunciate in maniera autonoma, mai usate con lei dalla madre o dal partner.


Il funzionario accolse l'esposto per sospetta mancata somministrazione di cura farmacologica solo dopo un paio d'ore di insistenza. Voleva evidentemente verificare di persona che non si trovasse di fronte all'ennesima donna separata che voleva vendicarsi dell'ex marito con l'accusa di non occuparsi della figlia. Accolse l'esposto solo dopo aver valutato il comportamento della ragazza, che si faceva via via più violento e appunto ingestibile. 

In seguito, un paio di "buone amiche" consigliarono di ritirare l'esposto, per non "mettere cattive cause". Sentendosi tutt'altro che incoraggiata, Gloss praticò come se avesse dovuto estrarre l'acqua dal deserto. Raggiunse la saggezza di non ritirare la denuncia e proseguì sulla strada del raggiungimento del benessere della figliola, credendo fermamente nelle cinque linee guida: “fede per una famiglia armoniosa”. Pertanto, girò l'esposto al padre della ragazza via WhatsApp, che continuava ad affermare la non necessità di farmaci.


Il neuropsichiatra a pagamento informò la neuropsichiatra dell'Asl, che nel frattempo era cambiata. “Anche se lungo il cammino della nostra vita le cose non dovessero andare come desideriamo, una persona che possiede lo spirito di non arrendersi, non si sente per nulla scoraggiata.” (D.Ikeda, NR, 290, 11) Forte dell'incoraggiamento di Sensei, Gloss non si arrese. Venne finalmente a sapere, dopo diverse chiamate ed e-mail, a più riprese e in più mesi, che il padre, dopo plurimi consulti tutti con medesimo risultato, aveva finalmente deciso di sottoporla alla cura farmacologica. 


Il buddismo è vincere o perdere. Proprio per questo, il maestro e i discepoli devono continuare a lottare fino alla fine. Lungo il cammino possono esserci vittorie e sconfitte, ma alla fine si è assolutamente in grado di vincere: questa è l'essenza della strategia del Sutra del Loto.” (D.Ikeda, NR, 626, 25) Vittoria vittoria vittoria, gratitudine eterna per la Legge Mistica e per il Daimoku che permise alla figlia di Gloss di stare subito meglio, di stabilizzare il suo carattere sulla positività. Affettività , concentrazione e attenzione verso il prossimo furono le sue conquiste e quelle dei suoi genitori, che avevano preso la determinazione di non arrendersi mai.

Il loro Daimoku di fiducia irremovibile fece il suo effetto anche a distanza.


“La lotta per kosen rufu, la rivoluzione umana personale e la trasformazione del karma non sono affatto cose distinte e separate.” (D.Ikeda, NR, 626, 24).Avanti sempre con Sensei, con il coraggio di affermare giorno dopo giorno, istante dopo istante, il voto per Kosen Rufu.


giovedì 5 luglio 2018

LA PACE PARTE DA ME

Nel luglio del 2018, Gloss venne meno al proprio impegno di “rispettare e onorare la madre” (concetti ancora molto cattolici, in verità; si direbbero piuttosto dogmi, nei quali non è insita la motivazione che nel Buddismo si reperisce nella gratitudine), con estrema fatica dato il karma che le legava. Al di là della causa scatenante, (un voucher da spendere per una tratta in tassì a Milano, modesto regalino), ciò che più la ferì fu il mancato ringraziamento. Le sorse allora il dubbio di non essere grata verso la di lei vita, e dunque, in ultima analisi, alla propria. Le apparse impossibile, dati gli sforzi in cui si era prodigata nei due anni precedenti. Avrebbe detto piuttosto che, siccome l'accoppiata “mamma/figlio” cioè fratello, era da prendersi in blocco, (entrambi con disturbi comportamentali, incapaci di crearsi e mantenere amicizie), doveva inchinarsi davanti alle loro buddità, prendendo esempio dal Budda Mai Sprezzante Fukyo,  ma starne lontana per un po' e farli cuocere nel loro brodo caldino. Quando si sarebbero accorti della mancanza delle sue telefonate quotidiane, del suo interessamento costante ai loro eterni problemi, salute, di denaro, di lavoro, di infelicità, l’avrebbero cercata. O forse non funziona così?

 

Non capiva. All’epoca Gloss e sua madre convivevano. Tra le varie e continue scaramucce madre figlia, si era verificato un fattore positivo: Gloss era riuscita a trattenere se stessa da farle qualsiasi forma di violenza psicologica o fisica, nonostante la madre l’avesse di fatto “sequestrata”, nascondendo in petto le chiavi di casa propria. “Allontanando dalla nostra interiorità la violenza che ci soggioga” (A. Perez Esquivel, La forza della speranza, esperia, pag.198), Gloss aveva nutrito la pace che nascesse in sé.

A madre e fratello cercava di dare prova che il bene tornasse sempre indietro. Al fratello fece un piccolo presente disinteressato, come alla mamma, dicendo di averlo sporto con il cuore perché servisse da buon esempio e da propagazione. «Ma come: non ti aspetti niente da me?» le disse stupito il fratello. Al no di Gloss, commentò: «Certo che voi buddisti siete strani forte». Tuttavia il suo viso esprimeva felicità.

 

Non aspettarti la gratitudine se fai del bene era un motto coniato ai tempi in cui aiutò una donna maltrattata a prendersi cura di sé, ricevendo solo minacce e offese. Ancora e sempre valido. Tuttavia, nel frattempo Gloss apprese di essere dominata dall’ego -ismo, -centrismo,  tutti “ismi” che fanno paura. “Se davvero ricerchiamo la sicurezza personale dobbiamo andare oltre il nostro piccolo io dominato dall'egoismo” (D.Ikeda, Adottare l'insegnamento corretto per la pace nel paese, esperia, pag.68).  Determinò che avrebbe trovato il modo di riavvicinarsi a loro, per “parlare della dignità della vita e dell'eguaglianza di tutte le persone” (D.Ikeda, NR, 290, 11), impedendo loro di crogiolarsi nel brodo caldino, perché rifiutava di “abbandonare la capacità di usare il linguaggio” (D.Ikeda, BS, 130, 51). A debita distanza, in quanto "quelli" levavano le mani. E non certo per elargire benedizioni.


giovedì 21 giugno 2018

ROMPERE IL GUSCIO

ROMPERE IL GUSCIO 


Nel giugno 2018, altalenando tra difficoltà con la propria figlia Sofia e novità sempre rinfrescanti, certa che “Quando accade un grande male, seguirà un grande bene” (Dal Gosho "Grande male e grande bene", RSND, volume I, pag. 992), dopo tre anni di fede, pratica e studio, Gloss aveva imparato come affidarsi alla Legge Mistica: a colpi di Daimoku. Gloss non temeva più nulla, nemmeno di confrontarsi con la durezza della vita, quella militare compresa. Militare? Sì, militare. 


Ogni anno, si celebra il giorno delle “Madri di Kosen Rufu”. Nel 2018  fu stabilito di farlo il 9 giugno. Quello stesso giorno, si manifestò l’intenzione di costituire un’unione tra donne forti, ex-maltrattate, determinate a creare ospitalità d’emergenza ad altre pari. Ovvero, tra colei che ne aveva avuto l’idea, una signora italiana cui Gloss fece Shakubuku la precedente estate, alle prese con violenze psicologiche perpetrate dal marito egiziano. Con un'albanese naturalizzata italiana, condotta venticinque anni prima in Italia con la promessa di un lavoro. Quello di battere la strada. Costretta a sevizie e stupri da parte di suoi connazionali, (dietro la minaccia che, se fosse fuggita, avrebbero fatto la stessa cosa a sua sorella minore) , ebbe il coraggio e la determinazione di denunciare quei «porci», che  finirono in galera grazie alla sua testimonianza. Si legò a un cliente innamorato, che, dopo averla messa incinta, la picchiava. Trovò la forza di lasciarlo. Poi convisse con altro uomo, che probabilmente l’amava davvero, senza picchiarla. Costui aveva già pagato i debiti con la Società. Nel senso che era già stato in galera. Insomma, un bel karma interessante per lei. La terza era Gloss stessa, la cui tragica vicenda è narrata in questo blog. 


Quel consesso di donne coraggiose determinò di chiamarsi “Progetto Rifugio” e crearono un gruppo WhatsApp per restare in contatto in tempo reale. 


Lo stesso giorno, Gloss entrò anche in contatto via Social con un milanese incursore della Folgore, in crisi di identità dopo oltre metà della vita trascorsa nella carriera militare, indeciso se congedarsi, o se unirsi ai Peshmerga per combattere. Con questo quarantunenne dall’aspetto di sessantenne si congratulò qualunque scelta avrebbe fatto, raccontandogli come un giornalista e filosofo contemporaneo, noto in tutto il mondo, nella sua opera dicesse: “Noi non abbiamo bisogno del fucile. Ci basta un’unica arma non violenta: il dialogo.” (Daisaku Ikeda). Desiderò ardentemente di testimoniare con la propria vita quanto fosse importante battersi per la propria vita e per quella altrui, facendo del bene, senza dover parlare di buddismo, perché ancora non conosceva abbastanza quell’uomo. In buona sostanza, Gloss gli raccomandava il disarmo interiore. Tentando di vestire i suoi panni, lei era però consapevole che per quel militare, dopo aver trascorso più di metà della vita in caserma, il rientro nel comune quotidiano sarebbe stato difficile. Durante un colloquio successivo, Gloss gli chiese cosa avrebbe fatto dopo l’eventuale congedo. Costui rispose di non saperlo, ma che ormai aveva deciso: avrebbe dato presto il suo personale addio alle armi. Aveva accompagnato al cimitero troppi commilitoni, aveva vissuto troppo tempo lontano da sua figlia, a quell’epoca in età di scuola primaria e che non vedeva da troppo tempo in quanto affidata alla madre. Sarebbe stata ora di cambiare, di affrontare la vita senza pericoli, tranne quelli comuni a tutti, di dedicarsi agli affetti quotidiani. 


Tuttavia, il giorno seguente ad aver rassegnato le mostrine, se n'era pentito a tal punto da chiamare il comandante per pregarlo di trattenere il suo congedo, mentre ci avrebbe ripensato. Lo confessò al telefono con Gloss, la voce rotta dal pianto. Un incursore della Folgore che piangeva.


Gloss temette per il suo equilibrio mentale. Per usare un comportamento comprensibile dal militare e, quindi, per lui coinvolgente, gli affidò due missioni: di riprendere i rapporti con la figlioletta e di impegnarsi a salvaguardare le donne maltrattate. Gli narrò di come lei ad un certo punto della sua vita ne avesse perso il senso e di come l’avesse recuperato grazie alle quelle medesime due missioni. Due giorni dopo, l’incursore, ormai senza identità, accettò di entrare nel gruppo WhatsApp “Progetto Rifugio”.


“Un viaggio di mille miglia comincia con un passo.” (D.Ikeda, NR, 446, 8): non sapevo come muovere i primi passi, ero triste, ma consapevole che “il Daimoku (...) trasforma persino la tristezza in una fonte di creatività” (D.Ikeda, NR. 626, 24), assunse davanti al Gohonzon la decisione di offrire al gruppo conoscenze e competenze accumulate in una decina d'anni. E quando l’ex incursore della Folgore le palesò che, dopo essersi pentito del congedo, avrebbe accettate le missioni proposte, Gloss lo fiondò nel gruppo. Il Daimoku velocizza tutto: in poche ore l’ex incursore si era già innamorato della signora albanese, il che forse non era propriamente dettato da saggezza. Non solo, il personaggio si rivelò per quello che era davvero: un militare nelle ossa, violento e acerbo, troppo crudo e indelicato. Nel gruppo parla di armi e attacchi frontali, vorrebbe ammazzare chiunque si opponga al progetto, si inserisce nelle ipotesi di salvezza di una certa signora vista vittimizzare una seconda proprio dalle FFOO, volendo riprendere personalmente, Glock 18 alla mano, persino un comandante della caserma. Gloss cerca di ricondurlo alla ragione, citando Sensei“non c'è bisogno di accalorarsi troppo” (D.Ikeda, Vivere il gosho ogni giorno, NR 629, 14). Al di fuori della caserma, la vita è ben altra cosa.


“Quando abbiamo il coraggio di incontrare le persone e parlare dei nostri ideali, stiamo facendo un primo passo nella nostra stessa rivoluzione umana.” (D.Ikeda, NR, 446, 8): fu così che Gloss incoraggiò i componenti del gruppo a incontrarsi di persona, incursore compreso. A tutti,  e a se stessa, sarebbe stato necessario spiegare come fosse “necessario ricercare il contatto con gli altri e parlare con loro” (D.Ikeda, NR, 446, 8) possibilmente non a colpi di Glock 18, ma “a colpi di Daimoku”. Anche se manifestò l’intento di alzarsi da sola prendendo esempio da Toda-Sensei, Gloss non fu ascoltata e tutto decadde. Il gruppo si consumò di morte propria. 

 
Tuttavia, la Legge Mistica aveva funzionato: era stato fatto shakubuku a persone che ne necessitavano. Poi lasciate libere di scegliere cosa fare delle proprie vite. 

Gloss si rese conto per prima di non aver rotto il guscio, assorbita dalle tante preoccupazioni personali, forse non ancora del tutto consapevole del potere illimitato di ciascuno di loro. Le due donne si dibattevano nel medesimo tipo di problematiche di Gloss, ognuna alle prese coi propri demoni interiori. L’incursore sedicente innamorato forse era l’unico davvero consapevole del proprio Karma: morire durante azioni di guerra.

Oggi Gloss lo immagina con i Curdi e gli manda tanto Daimoku. 

mercoledì 16 maggio 2018

VIVERE CON GRATITUDINE

Nel mese di maggio 2018 per l’ennesima volta Gloss si trovò ad affrontare un tema che avvertiva delicatissimo: la gratitudine. Si accorse che le si presentava in continuazione. Evidentemente, il suo Karma le chiedeva di confrontarsi con questo sentimento, forse in lei mancante. 


“Verso i genitori, verso i maestri, verso il paese.” (da Ripagare i debiti di gratitudine RSND, 1, 614) 


Cominciò con quello verso i genitori (https://2non2.blogspot.it/2017/06/lodio-verso-il-genitore.html), 

stava prendendo da poco a sentire quello verso i maestri

( https://2non2.blogspot.it/2017/05/religione-oppio-dei-popoli.html ), 

da un anno circa ho iniziato a scrivere un romanzo ambientato in Italia (https://2non2.blogspot.it/2017/11/la-fede.html ) e solo in quel momento capì che avrebbe potuto rappresentare il debito di gratitudine verso il paese.


Si stava battendo da tempo per cose positive che le stavano arrivando, come la firma del contratto di pubblicazione di racconti contro l’uso improprio degli stereotipi, la dichiarazione d’amore di un uomo che desiderava starle accanto per realizzare assieme Kosen Rufu da lì all’infinito futuro 

(https://2non2.blogspot.it/2018/03/il-dialogo.html ); inoltre, sua figlia aveva raggiunto una dimensione di calma contro ogni aspettativa (https://2non2.blogspot.it/2017/08/la-mia-bodhisattva.html https://2non2.blogspot.it/2018/04/vivere-con-coraggio.html ), 

i Servizi Sociali che l'avevano in carico finalmente combinavano un appuntamento in favore del loro futuro benessere; il fratello drogato trattenuto fu tutto un mese presso l'ospedale a seguito di un trauma, rendendogli difficile l’accesso alle sue dipendenze; la madre allegra e rilassata come mai prima, felice per il partner della figlia Gloss. Per tutto ciò, Gloss avvertiva di dover essere ancora più grata alla vita e alle persone che hanno favorito il raggiungimento degli obiettivi, se stessa per prima. 


Aveva rallentato i propri impegni come volontaria nella Croce Rossa Italiana, spaventata dall’aver “perso” un traumatizzato. Era stata malamente allontanata da un anziano signore cui fece da badante durante poche settimane. Che siano accadute queste cose per mancanza di gratitudine? Allo scopo di manifestarla all’Universo, allora determinò di mettere due contro tendenze. Di riprendere cioè con più vigore gli sforzi per la Croce Rossa  e di ricollegarsi con quel signore anziano. 

Mentre recitava Daimoku con questi due forti desideri nel cuore, le arrivava un messaggio della chat CRI in cui cercavano volontari disponibili. Aderì con gioia e gratitudine.

Una volta in sede CRI, chiese ad amicizie comuni informazioni circa quel signore anziano, temendo per la sua salute. Non lo si vedeva più. Preoccupata, anche a costo di fare figuracce, lo chiamò. Questo signore sapeva bene di averla trattata male, ma in precedenza aveva accolto le sue telefonate con gioia. Due, tre squilli di ansia, poi la sua voce. Che gioia, era ancora vivo. Gliene fu riconoscente. E grata a se stessa per aver raggiunto l’obiettivo.


“Dopo aver riconosciuto e apprezzato ciò che è stato fatto per noi, il passo successivo è vivere una vita dedita al benessere degli altri” dice Daisaku Ikeda, crf. BS, 154, 56.


Praticò Daimoku con un sentimento forte di gratitudine come mai provato prima, scaturito dalla seguente espressione: “Le vite di tutte le persone sono collegate. Per questo dobbiamo creare la pace. Le nostre esistenze quotidiane sono sostenute dal sudore e dalle lacrime di numerose persone” che la fece riflettere sul prorprio passato, a quanto l’ex marito la sostenesse in senso economico, consentendole di dedicarsi a Kosen Rufu senza eccessive preoccupazioni. È la prima volta che percepisce davvero questa gratitudine. Fino a quel momento, gli era riconoscente per averla maltrattata, dando l’abbrivio alla propria rivoluzione umana. Fu in quel momento che percepì il senso profondo di engi, ovvero di origine dipendente che spiega come nessuno di noi può esistere in completo isolamento.

“La felicità non si trova da qualche parte distante da noi,è qualcosa che dobbiamo raggiungere per noi stessi grazie alla nostra lotta qui e ora.” (D.Ikeda, Che cos'è la rivoluzione umana, esperia, pag. 28)


mercoledì 4 aprile 2018

VIVERE CON CORAGGIO

“I santi e i saggi sono messi alla prova dagli insulti” (da Lettera da Sado, RSND, 1, 269)

Lo Zadankai del del 4 aprile 2018 propose il tema di VIVERE CON CORAGGIO, porgendo motivi di incoraggiamento a ogni buddista. Gloss si chiese cosa si intendesse per insulti oggi, che viviamo un tempo di perbenismo, dove la politica insegna il concetto di buonismo, dove le relazioni tra colleghi sono all’insegna dell’ipocrisia, già insulto di per se stessa. Partì come sempre dalla propria esperienza personale, che si stava misurando con la figlia Sofia, disabile, in quei giorni di vacanza. O forse, più che la parola vacanza avrebbe dovuto utilizzare quella di sfida. 


Come confermato da parte delle sue maestre, la ragazzina si comportava non solo nel solito modo maldestro, ma soprattutto violento, come visto durante la precedente estate, con Gloss e con chicchessia si trovasse sulla sua strada, adulti, bambini, cani e gatti. Degno di nota il comportamento verso gli amici di sempre, che picchiava con calci pugni, morsi e graffi in pochi minuti, anche a sangue, mentre con gli sconosciuti era dolce e remissiva. A Gloss un solo morso, ma così in profondità da attraversare giacca a vento imbottita, maglione pesante, maglia di pile e creare un’ecchimosi all’avambraccio. 


Come se non bastasse, Sofia consolidò la consuetudine di ripetere le parole pronunciate in sua presenza dal padre e alla madre rivolte, tra le quali: «smettila», «vattene», «non voglio sentire la tua voce». A cui aggiunse nuove espressioni: «brutta stronza», «porca troia», «porco d...» (Gloss non riesce nemmeno a scriverlo).  Insomma, una vera e propria catena di insulti, psichici e fisici.

Anche se dentro ribolliva, Gloss pacatamente le domandò chi le insegnasse quei termini. Sofia rispondeva che fosse il papà. Gloss non volle reagire al momento, per non darle occasione di rinforzo. Tuttavia sottolineò quanto facessero male le parole e, parodiando il contenuto di un cartone animato richiesto spesso su Youtube da Sofia, la incoraggiò a «accelerare la guarigione del cuore» di mamma con baci e abbracci. 


Allo scopo di distrarla dai suoi demoni interiori, Gloss le propose un  paio di regalini a lei graditi,  la portò a spasso nei suoi luoghi preferiti, a ballare per fare in modo si scaricasse, insomma la  circondò di attenzioni esclusive. Altro modo per calmarla era farle lavorare lo slime (pasta appiccicosa da manipolare) o guardare video di youtubers che lo lavorino. Purtroppo, lo slime si sparge per la casa intera, nonostante gli opportuni accorgimenti contenitivi.


Peggiorate le sue espressioni pseudo linguistiche (quei «miao» o termini da Sofia inventati allo scopo di manifestare affetto o coccole, che Gloss coniò come “gattese” o “sofiese”), la madre cercava di spiegarle che le persone cui Sofia si sarebbe rapportata non le avrebbero capite. Le suggeriva allora l’utilizzo di altre espressioni in italiano corrispondenti alla dedizione e cura che avrebbe voluto manifestare o richiedere. Sofia acconsentiva, adeguandosi alla realtà.


Gloss leggeva e rileggeva  un passaggio da NR 623: “Le difficoltà sono dei tesori”. “Carl Hilty, filosofo svizzero, affermava: CE LA FARÒ'! Questa breve frase ha un effetto quasi magico ogni volta che affrontiamo una crisi interiore.”, eppure in quei giorni vacillava, tremendamente vacillava, combattuta tra il permettere alla figlia di fare sempre nuove esperienze pur di consentire il suo sviluppo, da una parte, e dall’altra piantare dei paletti che la proteggessero da sconosciuti (e da se stessa). Si sarebbe sentita piuttosto inaridita, perché “il nostro cuore inaridisce se non diamo coraggio e felicità a noi stessi, se non accendiamo il nostro entusiasmo” se non avesse scritto al papà di Sofia ed al consesso medico/educativo che la segue tutt’oggi, offrendo la propria collaborazione collettiva e trovando in questo sprone a fare sempre meglio per sé e per gli altri e le altre.

“Le persone capaci di incoraggiare se stesse sono veramente ispiratrici e riescono a comprendere il dolore e la sofferenza degli altri.” Gloss percepiva nettamente la fortuna di conoscere Nam Myoho Renge Kyo e utilizzarlo due volte al giorno, “modo pratico e infallibile per trasformare l’inverno in primavera” (Daisaku Ikeda, Cos'è la rivoluzione umana, pag. 238).


mercoledì 21 marzo 2018

IL DIALOGO

Perché dialoghiamo con le persone che ci circondano? Per aiutarle a diventare felici” (BS, 187).

A proposito di dialogo, Gloss lo esercitava con energia da sempre animata dal bisogno di relazioni. Da poche settimane era intervenuta una grandiosa novità ad accrescere il valore del suo Shakubuku: lo stesso voto fu condiviso dal suo partner, il quale ricevette il Gohonzon.

Animati da Spirito di Ricerca, dalla necessità di dialogo sia nelle relazioni di amicizia che di lavoro, avrebbero voluto contagiare tutti con la loro gioiosità, voglia di vivere, leggerezza - che non è superficialità -  nonostante le batoste della vita, o forse proprio grazie a loro. “Allo stesso modo, i nostri nobili e indomiti pionieri perseverano con gioia nei loro sforzi di portare il Buddismo agli altri, accogliendo ogni ostacolo o difficoltà come un’occasione per compiere la propria rivoluzione umana e trasformare il karma.” (BS,187 – SDLPE, 272). Ci riuscivano dappertutto e con chiunque, tranne che nel luogo dove hanno scelto di compiere la propria rivoluzione umana. Non a caso.


Gloss decise di rilanciare il voto per Kosen Rufu attraverso “l’applicazione delle tre regole per la predicazione dopo la morte del Budda” (BS, 187) , ovvero: la veste, il seggio, la stanza. “Questo significa che nel propagare il Sutra del Loto si dovrebbe avere una mente compassionevole (che è come indossare una veste, i panni degli altri), dimorare nella verità della vacuità di tutti i fenomeni (stare seduti sul seggio della saggezza) e sopportare le difficoltà con pazienza (la stanza rappresenta l’ambiente dove stiamo con tutti i suoi demoni, ovvero le difficoltà).” (SDLPE, 277-238 - BS, 187). 


Si verificò subito l’opportunità di applicare questo rinnovamento del voto. Una Budda che l’anno precedente aveva talvolta frequentato il gruppo, forse più nella convinzione di corteggiare altre buddiste che non per sciogliere l’attaccamento alla madre mancata, stava attraversando una crisi a causa dell’attaccamento (di nuovo?) alla sua partner, che, però, era già più ex, che partner. 


Intuendo dunque una personalità soggetta agli attaccamenti, nell’inviarle l’argomento dello Zadankai della sera successiva, Gloss la invitò via WhatsApp ad uscire in compagnia con altre allo scopo di divertirsi a Torino e staccarsi dal suo ambiente. Messaggio? Visualizzato. Risposta? Zero. Ma Gloss non se la prese, non sono necessarie risposte. E poi tutti i nodi vengono al pettine. E il nodo di quella Budda arrivò al pettine pochi giorno dopo, per strada. 


Baci&Abbracci nella miglior tradizione piemontese falsa e cortese, rivelò a Gloss che la sua partner la «stava lasciando» (in realtà, era un’attenuata perifrasi: Gloss aveva incontrato questa “partner” in un negozio mentre faceva acquisti modaioli per e in compagnia della sua nuova giovanissima fiamma, che da lì a poco sarebbe diventata sua moglie). 


Gloss ebbe la saggezza di fermarsi a parlare con la Budda, occupandosi nel contempo della figlia disabile Sofia, 10 anni, che la strattonava, per rinnovare l’invito ad uscire in compagnia, allo scopo di cambiare ambiente e lasciare andare gli attaccamenti. La Budda declinò. Non aveva voglia di compagnia e dialogo e confronto, perché tanto «la mia donna non mi sta lasciando». Consapevole di esercitare energia e fermezza, pur essendo paziente ed empatica, Gloss le suggerì a prendere coscienza dei suoi attaccamenti. “Persisteva nel suo sforzo di predicare in modo energico benché ciò li faccia andare in collera.” (BS, 187) 

La Budda si arrabbiò e l’attaccò. Pochi mesi dopo la ex si sposava, a riprova che la Budda era oscurata dagli attaccamenti.


Lo spirito del voto di Gloss era, ed è, fare Shakubuku con la propria vita, mettendo nel rapporto tra sé e la propria figlia empatia e fermezza, nonostante le difficoltà. 


“Vedere persone che indipendentemente dalle circostanze conducono una vita forte, positiva e fiduciosa, dedicata alla felicità degli altri e al benessere della società, non può non colpire e ispirare chi entra in contatto con loro.” (BS, 187) 


Mesi dopo, la Budda, che conosceva il relazionarsi di Gloss nei confronti della figlia disabile, tornò a uno Zadankai a ringraziarla.