giovedì 21 giugno 2018

ROMPERE IL GUSCIO

ROMPERE IL GUSCIO 


Nel giugno 2018, altalenando tra difficoltà con la propria figlia Sofia e novità sempre rinfrescanti, certa che “Quando accade un grande male, seguirà un grande bene” (Dal Gosho "Grande male e grande bene", RSND, volume I, pag. 992), dopo tre anni di fede, pratica e studio, Gloss aveva imparato come affidarsi alla Legge Mistica: a colpi di Daimoku. Gloss non temeva più nulla, nemmeno di confrontarsi con la durezza della vita, quella militare compresa. Militare? Sì, militare. 


Ogni anno, si celebra il giorno delle “Madri di Kosen Rufu”. Nel 2018  fu stabilito di farlo il 9 giugno. Quello stesso giorno, si manifestò l’intenzione di costituire un’unione tra donne forti, ex-maltrattate, determinate a creare ospitalità d’emergenza ad altre pari. Ovvero, tra colei che ne aveva avuto l’idea, una signora italiana cui Gloss fece Shakubuku la precedente estate, alle prese con violenze psicologiche perpetrate dal marito egiziano. Con un'albanese naturalizzata italiana, condotta venticinque anni prima in Italia con la promessa di un lavoro. Quello di battere la strada. Costretta a sevizie e stupri da parte di suoi connazionali, (dietro la minaccia che, se fosse fuggita, avrebbero fatto la stessa cosa a sua sorella minore) , ebbe il coraggio e la determinazione di denunciare quei «porci», che  finirono in galera grazie alla sua testimonianza. Si legò a un cliente innamorato, che, dopo averla messa incinta, la picchiava. Trovò la forza di lasciarlo. Poi convisse con altro uomo, che probabilmente l’amava davvero, senza picchiarla. Costui aveva già pagato i debiti con la Società. Nel senso che era già stato in galera. Insomma, un bel karma interessante per lei. La terza era Gloss stessa, la cui tragica vicenda è narrata in questo blog. 


Quel consesso di donne coraggiose determinò di chiamarsi “Progetto Rifugio” e crearono un gruppo WhatsApp per restare in contatto in tempo reale. 


Lo stesso giorno, Gloss entrò anche in contatto via Social con un milanese incursore della Folgore, in crisi di identità dopo oltre metà della vita trascorsa nella carriera militare, indeciso se congedarsi, o se unirsi ai Peshmerga per combattere. Con questo quarantunenne dall’aspetto di sessantenne si congratulò qualunque scelta avrebbe fatto, raccontandogli come un giornalista e filosofo contemporaneo, noto in tutto il mondo, nella sua opera dicesse: “Noi non abbiamo bisogno del fucile. Ci basta un’unica arma non violenta: il dialogo.” (Daisaku Ikeda). Desiderò ardentemente di testimoniare con la propria vita quanto fosse importante battersi per la propria vita e per quella altrui, facendo del bene, senza dover parlare di buddismo, perché ancora non conosceva abbastanza quell’uomo. In buona sostanza, Gloss gli raccomandava il disarmo interiore. Tentando di vestire i suoi panni, lei era però consapevole che per quel militare, dopo aver trascorso più di metà della vita in caserma, il rientro nel comune quotidiano sarebbe stato difficile. Durante un colloquio successivo, Gloss gli chiese cosa avrebbe fatto dopo l’eventuale congedo. Costui rispose di non saperlo, ma che ormai aveva deciso: avrebbe dato presto il suo personale addio alle armi. Aveva accompagnato al cimitero troppi commilitoni, aveva vissuto troppo tempo lontano da sua figlia, a quell’epoca in età di scuola primaria e che non vedeva da troppo tempo in quanto affidata alla madre. Sarebbe stata ora di cambiare, di affrontare la vita senza pericoli, tranne quelli comuni a tutti, di dedicarsi agli affetti quotidiani. 


Tuttavia, il giorno seguente ad aver rassegnato le mostrine, se n'era pentito a tal punto da chiamare il comandante per pregarlo di trattenere il suo congedo, mentre ci avrebbe ripensato. Lo confessò al telefono con Gloss, la voce rotta dal pianto. Un incursore della Folgore che piangeva.


Gloss temette per il suo equilibrio mentale. Per usare un comportamento comprensibile dal militare e, quindi, per lui coinvolgente, gli affidò due missioni: di riprendere i rapporti con la figlioletta e di impegnarsi a salvaguardare le donne maltrattate. Gli narrò di come lei ad un certo punto della sua vita ne avesse perso il senso e di come l’avesse recuperato grazie alle quelle medesime due missioni. Due giorni dopo, l’incursore, ormai senza identità, accettò di entrare nel gruppo WhatsApp “Progetto Rifugio”.


“Un viaggio di mille miglia comincia con un passo.” (D.Ikeda, NR, 446, 8): non sapevo come muovere i primi passi, ero triste, ma consapevole che “il Daimoku (...) trasforma persino la tristezza in una fonte di creatività” (D.Ikeda, NR. 626, 24), assunse davanti al Gohonzon la decisione di offrire al gruppo conoscenze e competenze accumulate in una decina d'anni. E quando l’ex incursore della Folgore le palesò che, dopo essersi pentito del congedo, avrebbe accettate le missioni proposte, Gloss lo fiondò nel gruppo. Il Daimoku velocizza tutto: in poche ore l’ex incursore si era già innamorato della signora albanese, il che forse non era propriamente dettato da saggezza. Non solo, il personaggio si rivelò per quello che era davvero: un militare nelle ossa, violento e acerbo, troppo crudo e indelicato. Nel gruppo parla di armi e attacchi frontali, vorrebbe ammazzare chiunque si opponga al progetto, si inserisce nelle ipotesi di salvezza di una certa signora vista vittimizzare una seconda proprio dalle FFOO, volendo riprendere personalmente, Glock 18 alla mano, persino un comandante della caserma. Gloss cerca di ricondurlo alla ragione, citando Sensei“non c'è bisogno di accalorarsi troppo” (D.Ikeda, Vivere il gosho ogni giorno, NR 629, 14). Al di fuori della caserma, la vita è ben altra cosa.


“Quando abbiamo il coraggio di incontrare le persone e parlare dei nostri ideali, stiamo facendo un primo passo nella nostra stessa rivoluzione umana.” (D.Ikeda, NR, 446, 8): fu così che Gloss incoraggiò i componenti del gruppo a incontrarsi di persona, incursore compreso. A tutti,  e a se stessa, sarebbe stato necessario spiegare come fosse “necessario ricercare il contatto con gli altri e parlare con loro” (D.Ikeda, NR, 446, 8) possibilmente non a colpi di Glock 18, ma “a colpi di Daimoku”. Anche se manifestò l’intento di alzarsi da sola prendendo esempio da Toda-Sensei, Gloss non fu ascoltata e tutto decadde. Il gruppo si consumò di morte propria. 

 
Tuttavia, la Legge Mistica aveva funzionato: era stato fatto shakubuku a persone che ne necessitavano. Poi lasciate libere di scegliere cosa fare delle proprie vite. 

Gloss si rese conto per prima di non aver rotto il guscio, assorbita dalle tante preoccupazioni personali, forse non ancora del tutto consapevole del potere illimitato di ciascuno di loro. Le due donne si dibattevano nel medesimo tipo di problematiche di Gloss, ognuna alle prese coi propri demoni interiori. L’incursore sedicente innamorato forse era l’unico davvero consapevole del proprio Karma: morire durante azioni di guerra.

Oggi Gloss lo immagina con i Curdi e gli manda tanto Daimoku.